28 maggio 2010

Presentazione alla comunità

Presentazione alla comunità
Il circolo di Firenze dell’UAAR, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, da anni, di concerto con numerose altre associazioni, sostiene iniziative volte al rispetto dei diritti dei cittadini. Dopo anni di impegno i funerali civili sono diventati una realtà al Q4, prossimamente lo saranno anche al Q2 e sembra presto anche a Scandicci. Analogamente anche la Consulta della Laicità è diventata uno strumento operativo del Comune. Ma fra gli altri temi che da anni sosteniamo c’è ne è uno che diventa sempre più importante affrontare: l’accoglienza dei minori che arrivano in città.
Bambine e bambini
Lo scrittore Tabucchi, in una recente intervista, alla domanda di chiusura su cosa fosse per lui la cosa più bella se ne è uscito con una sconvolgente banalità: i bambini.
Banalità perché sconfina nell’ovvio del senso comune: chi mai potrebbe dirne male? Quando mai se ne è sparlato? Da sempre se ne invoca l’innocenza, li si esibisce per indurre in commozione, li si rappresenta come fonte di vita e di emozioni.
Sconvolgente perché tutto questo è solo quel senso comune privo di reali contenuti se non di un fine strumentale a vantaggio del mondo adulto. Quell’invito a “che i pargoli vengano a me” è stato volta volta malinteso per goderne delle braccia sia che portassero pesi, lavoro ed anche le armi dei bambini soldato, sia del corpo per subirne violenza. Ed oggi si invocano anche come strumento demografico per controbilanciare le migrazioni di popoli e per supplire alle carenze dei bilanci pensionistici. Che fanno veramente le Istituzioni per loro? Si parla tanto di “politica della famiglia” e si fa ben poco. Ma non si parla mai di una “politica per l’infanzia” e, in negativo, si fa fin troppo.
In negativo perché, a fronte di un discutibile riconoscimento del diritto alla persona fin dal momento del concepimento, l’Istituzione relega il nato nel più completo anonimato in nome di una omissività spesso ben più colpevole ed efficace della commissività.
L’ingresso nel contesto sociale da un lato si formalizza con l’iscrizione anagrafica quale puro atto burocratico privo di qualunque significato se non quello di permettere al nuovo cittadino di potersi avvalere del codice fiscale, utile sì per godere del servizio sanitario nazionale, ma anche riduttivo in quanto riconoscimento di “contribuente qualunque”.
Dall’altro si caratterizza fin troppo spesso dalla ritualità consuetudinaria di un pedobattesimo che supplisce all’assenza delle Istituzioni in un momento così importante. E di questo fanno le spese anche adottati o affidati che giungono da differenti culture con altre visioni della vita. Minori questi che “nascono” un’altra volta per ritrovarsi talvolta in un contesto non certo più accogliente di quello da cui provengono.
Una prospettiva da suddito interpretata in maniera impeccabile da una politica nazionale che nega la cittadinanza italiana fino al compimento dei 18 anni ai nati in Italia da genitori non italiani; una politica che ha provato a prendere le impronte digitali ai piccoli rom, che aspira ad impedire all’ufficiale dello stato civile di ricevere la dichiarazione di nascita o di riconoscimento del figlio naturale da parte di genitori stranieri privi di permesso di soggiorno. Nella scuola si parla di classi ponte e si giunge ad un disconoscimento tale da impedire l’accesso dei piccoli agli asili nido e alle materne, mentre agli adolescenti “clandestini” si proibisce di giocare a pallone coi loro coetanei nelle gare ufficiali.
Dunque un mondo di minori relegato ai margini della socialità, variamente schedato o addirittura fantasma nonostante che i bambini siano definiti una “ricchezza sociale” da valorizzare per il lamentato loro decremento, ma che poi vengono anche sempre più deprivati della loro autonomia e della loro individualità.
I minori rimangono così una pagina bianca su cui continuiamo a scrivere la solita storia, la nostra storia, sempre più inquietante. Non ci viene nemmeno il dubbio che potrebbero essere autori di un racconto originale, diverso da quello che, ripetuto in modo acritico, ci ha portato ad una preoccupante disgregazione sociale. Si ha un bel dire ad esempio che la società deve essere “genitorializzata” auspicando che si renda disponibile ad un’accoglienza “ecumenica” dei bambini priva di pregiudizi e di marchi.
Quel che si fa è poco e molto altro si potrebbe fare. La Toscana risulta la regione più a misura di bambino d'Italia con un tasso di accoglienza dei piccoli da zero a tre anni negli asili nido e nei servizi integrativi con una percentuale pari al 29,8% contro la media italiana del 13,8% e con regioni dove a malapena si raggiunge il 2%.
Dall’Istituto degli Innocenti di Firenze parte il progetto “Città Sostenibili delle Bambine e dei Bambini” e a Firenze ha preso avvio fin dal 1993, grazie al pedagogista Tonucci, una iniziativa che tende ad insegnare alle famiglie a dare autonomia ai figli attraverso piccoli passi, anche quelli da fare per andare a scuola da soli, quel “Progetto Bambini” del Comune che è ormai un’iniziativa ormai consolidata nel Q4 e che annualmente si rinnova presso le Scuole Primarie Montagnola e Martin Luther King.
Se i bambini imparano a camminare da soli se ne guadagna tutti, ma prima vanno degnamente accolti.
Presentazione alla comunità
Ogni comunità umana ha un rito di accoglienza per i nuovi arrivati. In molte città italiane si stanno mettendo in atto attività di accoglienza: senza andare tanto lontano a Quarrata, con “Benvenuti ragazzi” si festeggiano una volta l’anno i nuovi nati e a Firenze è stata approvata all’unanimità dal Consiglio Comunale un’analoga “Festa del neonato” presentata dai consiglieri Ricca, Agostini e Falciani (mozione 282 del 7.04.09).
Ma si può, anzi si deve fare di più. Si deve dare il benvenuto a tutti i nuovi arrivati in città siano essi qui nati o immigrati, adottati o affidati - comunque siano giunti, con la cicogna o con il gommone – in modo che vengano accolti con un atto d'ingresso formale nella comunità civica in cui entrano.
Questo perché tutti nascono, arrivano e crescono in un contesto sociale, in una comunità, in una città, quindi prima di tutto cittadini di diritto; per diventarlo a tutti gli effetti si deve però essere accolti da chi la abita e da chi la rappresenta a garanzia del fatto che la comunità intera si farà carico del loro futuro. E’ il primo passo delle pari opportunità per garantire una base comune di riconoscimento e quindi di rispetto, indipendentemente dalla cultura da cui si proviene.
Sia chiaro, non è un battesimo né un suo surrogato che predestini in qualche modo i nuovi arrivati ad un percorso culturale predefinito. Questa è e deve rimanere una scelta privata. Ma come già esistono, per chi lo desidera, il matrimonio e il funerale civile - che non escludono poi celebrazioni di tipo religioso – deve essere disponibile anche una formula civile di presa in carico da parte delle Istituzioni in cui si registra la presenza del nuovo arrivato con una “Presentazione alla comunità”.
La legge distingue fra diritto di suolo e di sangue; qui si chiede un civile diritto all’accoglienza.
E’ un atto di assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni; è un esempio che le Istituzioni devono dare per prime alla cittadinanza; è un modo per dare consistenza ad un legame fra il cittadino e la città; è un benvenuto agli innumerevoli e spaesati ospiti che giungono da ogni parte come primo passo per facilitarne l’integrazione e l’inserimento sociale.
In conclusione è un momento di festa da ripetersi una o due volte l’anno dove le Istituzioni potranno sancire l’evento dando così dignità a quello che oggi è solo un atto burocratico e ai nuovi arrivati un benvenuto in allegria e qualche dono simbolico.

Marco Accorti

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